Per me un blog è...

Blog, blob, bubble?

Ho visto per la prima volta un blog nella primavera del 2000. Mi sembrò solo un sito un po’ diverso dagli altri, più aperto e amichevole, e lì per lì non ci feci un gran caso. Cominciai a incuriosirmi man mano che incontravo sempre più spesso quegli strani siti, tutti con la stessa struttura “a calendario”, e con i commenti.
Mi piacquero, credo complice quel nome, blog, che a noi italiani ricordava il frammento e il frullatore di stili del Blob televisivo. Ma anche bubble, la bolla, la speech bubble dei fumetti e anche la famosa bolla di internet che proprio in quel periodo si andava sgonfiando.
La bolla dei blog, invece, non sarebbe affatto scoppiata all’improvviso come una bolla di sapone. Rispondeva a un bisogno profondo delle persone e per questo non è volata via leggera verso il cielo, ma ha messo radici profonde nel web e nelle nostre vite, cambiando la fisionomia della rete, stravolgendo il mondo della comunicazione, sovvertendo gerarchie che sembravano fisse per sempre.


Per caso, e per fortuna.

Ho letto e osservato blog per più di tre anni, prima di aprirne uno. Mi sembrava qualcosa di inadatto alla mia natura schiva e del resto fino a quel momento avevo fatto del web un uso esclusivamente professionale. Avevo paura di mettermi in gioco su altri piani. E poi c’era la più classica delle preoccupazioni: cosa mai avrei avuto da scrivere, tutti i giorni o quasi? Mi rendevo conto che avrei preso un impegno e pensavo che non sarei mai riuscita a mantenerlo.
Oggi, a cinque anni e mille post di distanza, sorrido dei miei timori e delle mie ingenuità. Ma questo ci dice già molto sulla natura di un blog: scriverci dentro è una pratica quotidiana che si può conoscere e apprezzare davvero solo quando la svolgi e la approfondisci nel tempo. Il resto è teoria.
Difficile, quindi, parlare del blog in astratto.
Non è un nuovo genere letterario, anche se gli aspiranti scrittori ci si sono tuffati dentro, ma solo un semplice, versatile, economico e interattivo strumento di pubblicazione. Non poco, quindi.
Dentro, ognuno ci metterà ciò che vuole: segnalazioni di una sola riga, poesie, lettere, considerazioni e pensieri, raccontini compiuti, annunci, foto. Insomma, la sua vita, sia che abbia un blog personale, sia che scriva in un blog collettivo professionale, e persino in un blog aziendale.
Quindi, per ognuno un blog è qualcosa di diverso. Lo prova un famoso meme (una domanda lanciata in rete) che ha fatto il giro del web all’inizio del 2007: cos’è per te un blog, in 2000 battute. Le risposte sono state tantissime, ma nessuna uguale all’altra.
Anche io non ne ho una sola, ma parecchie, e altre si aggiungono nel tempo.
Decisi all’improvviso di aprire il blog, per giocare e senza troppe motivazioni. Ma quella decisione un po’ impulsiva e casuale si è rivelata tra le migliori che abbia preso nella mia vita professionale, e ne ha persino un po’ cambiato il destino. Di sicuro, e per fortuna, ha cambiato la mia scrittura.
Allora rispondo anch’io a quella domanda “che cos’è per te un blog”. Sulle pagine di una rivista posso andare ben oltre le 2000 battute, e le mie ragioni sono tante. Qualcuna la scoprirò sicuramente scrivendo, proprio come succede in un blog.


Un blog è un luogo dove solitudine e socialità si incontrano.

Chi scrive, per passione o, come me, per lavoro, ha bisogno di silenzio e di solitudine. A volte anche per lunghi periodi.
Il blog è un diario personale che ci accompagna in questo necessario isolamento ma, al contrario di quello tradizionale, non ha lucchetti, non lo nascondi in un cassetto o sotto la biancheria, non è intimo né segreto.
Gli consegniamo riflessioni, idee e pensieri del tutto personali, ma è aperto. Tutti possono non solo ficcarci il naso, ma anche dire la propria. Per di più protetti dall’anonimato, se vogliono.
Qualche volta – anzi spesso – non apprezzeremo i loro commenti e i toni ci infastidiranno. Altre, i contributi degli sconosciuti lettori ci faranno pensare o sorridere.
In ogni caso, dal nostro angoletto di casa o di ufficio, incontreremo un pubblico e inizieremo un dialogo. Ci confronteremo e, se abbiamo velleità di scrittori, metteremo alla prova l’impatto delle nostre parole sugli altri. Salvaguardando la nostra riservatezza, e se lo vorremo persino la nostra identità.


Un blog è un luogo per pensare.

Che scrivere sia uno dei modi migliori per chiarirsi le idee, per parlare con se stessi, prima ancora che per comunicare con gli altri, è cosa risaputa ma di solito poco praticata.
Ed è una delle ricadute più sorprendenti di un blog, anche perché all’inizio non ci si pensa affatto.
Almeno, io non ci pensavo proprio. Avevo già un sito, il Mestiere di Scrivere, dove affrontavo da qualche anno temi che riguardano il mio mestiere, la scrittura professionale. Dispensavo per lo più consigli che ritenevo utili per comunicatori di impresa come me, e che con me avevano funzionato. Ogni articolo che pubblicavo lo preparavo come un articolo o una piccola voce di enciclopedia: buttavo giù gli spunti, mi documentavo al meglio sulle fonti più autorevoli, intervistavo esperti, recensivo libri.
Il risultato era sicuramente dignitoso e utile, ma non molto diverso da quello di un buon manuale: preciso, ordinato, di buon senso, parecchio prescrittivo e comunque “a una sola via”, come dicono appunto i manuali di comunicazione.
Sul blog è stato subito tutto diverso. Non avevo più bisogno di aspettare un mese o due per pubblicare i miei impeccabili articoli sul sito. Magari una mattina mi sbattevo la testa con un problema molto pratico e concreto. Ci pensavo su, trovavo la soluzione e immediatamente sentivo il bisogno di scriverci un breve post, che non solo mi aiutava a chiarirmi ulteriormente le idee, ma conservava la freschezza del ragionamento appena fatto e la concretezza dell’esempio reale. Dopo averlo scritto, provavo un certo sollievo e sentivo di aver acquisito una nuova tecnica o un nuovo strumento per il solo fatto di averlo espresso in parole non solo per me, ma perché anche altri capissero e condividessero – dal punto di vista razionale ed emotivo insieme – i risultati o le considerazioni cui ero arrivata io.
Non solo. Il blog permette di esercitare una delle caratteristiche del nostro pensiero, quella associativa. Con i link ad altri blog o a nostri post passati, e con i tag che raggruppano i post per temi e idee. Tutte cose che naturalmente si possono fare in un normale sito e anche su carta, ma mai con quella velocità che è propria del blog e dello stesso pensiero associativo.
Capita di leggere nel giro di pochi minuti notizie, idee e pensieri disparati, su siti diversi, di collegarli poi a qualcosa che abbiamo letto e che improvvisamente ricordiamo. Insieme, producono una nuova idea – qualche volta originale – che sentiamo il bisogno di formulare e di scrivere subito, prima che svanisca.
Con il blog lo possiamo fare anche senza scrivere un saggio o un lungo articolo. Alla nostra piccola illuminazione basta un post di poche righe.


Un blog è un laboratorio personale di scrittura.

Si può decidere di aprire un blog per mille ragioni diverse, ma una delle migliori è che rappresenta un’ottima palestra e un laboratorio ineguagliabile di scrittura personale.
Tutto questo anche se non si hanno ambizioni letterarie, ma semplicemente il desiderio di migliorare con la pratica quotidiana la propria comunicazione scritta. Una cosa che serve a tutti, qualsiasi lavoro si faccia.
A me capita di scrivere un post di prima mattina semplicemente per scaldarmi un po’, perché mi aspettano compiti più lunghi e complessi che mi spaventano e non so come affrontare. Allora anche dieci righe riuscite di commento a un titolo di giornale servono a sentirsi meglio e avviarsi con più serenità verso un testo di molte cartelle.
A chi ha in mente di scrivere un libro, ma non ne ha il coraggio, la breve misura del post ricorda che anche il più lungo dei libri è fatto di capitoli, questi di paragrafi, i paragrafi di frasi e le frasi di parole.
A tutti, infine, avere un posto in cui scrivere quotidianamente e con una certa libertà ricorda che c’è anche una dimensione della scrittura che si fa e si scopre semplicemente scrivendo, senza troppi programmi, indici e scalette. Le parole portano sempre con sé altre parole.
In questo spazio spensierato, saltare di palo in frasca, giocare con il linguaggio, mescolare gli stili, passare con disinvoltura dalla dimensione personale a quella professionale, sperimentare con i registri stilistici, è molto più facile che altrove.
Il risultato, sui tempi medio-lunghi, è sempre una scrittura più ricca e più versatile.
Nel mio caso, il blog mi ha invitata ad abbandonarmi alla leggerezza e all’ironia, a prestare più attenzione al ritmo e alla musica del testo, a espormi di più con le mie opinioni, a essere più sincera.
Tutte cose che sono entrate a far parte del mio stile anche nelle scritture più professionali e più serie.


Un blog è una scuola di titolazioni.

Un post – o almeno la sua prima stesura - lo si scrive quasi sempre a gran velocità, perché nasce da una sollecitazione improvvisa, da qualcosa che abbiamo vissuto, letto o visto, che ci ha colpito o fatto pensare. Io lo chiamo “l’impulso a postare”.
Paradossalmente, molti di noi impiegano poi la maggior parte del tempo per scriverne la parte più breve: il titolo.
E facciamo benissimo, perché i titoli (e i sottotitoli) sul web sono tra i testi più importanti.
Sono il vero invito alla lettura in un luogo affollatissimo, in cui molti vanno di fretta. Il titolo di un sito o di un blog è come quello di un libro: deve colpire tra tanti e farsi ricordare a distanza. Il titolo di una pagina la deve “rappresentare”, senza il suo contenuto, nei lunghi risultati di un motore di ricerca. Il titolo di un post lo deve distinguere tra i tanti post della stessa pagina e parlare da solo nei titoli di un aggregatore di feed.
È soprattutto con i titoli che oggi i testi combattono la battaglia più difficile, quella per ottenere un po’ di tempo e di attenzione.
Ovunque, non solo sul web.
Un blog è il posto ideale per diventare dei bravi titolisti: dove ci potremmo sbizzarrire di più?


Un blog è un paio di occhiali speciali per guardare il mondo con occhi diversi.

Il solo sapere di avere un luogo per raccontare, un luogo che ci aspetta, con delle persone che aspettano, aguzza i sensi e la mente.
Diventa più facile “vedere” storie e racconti intorno a noi, fare attenzione alle parole che ascoltiamo in metropolitana o al mercato, alle immagini e alle persone che ci colpiscono.
Allora, cominciamo a scrivere mentalmente il nostro post, ovunque siamo. Ma il bello del blog è che sappiamo di non scrivere solo per noi, ma per essere letti.
Il post mentale deve prendere forma in parole che permettano anche agli altri di condividere i nostri pensieri e le nostre emozioni. Non importa più solo il “cosa” scriviamo, ma soprattutto il “come”. Dobbiamo rendere il nostro particolare un po’ universale. Nel nostro piccolo, fare quello che da sempre fa la letteratura.


Un blog è un luogo dove è più facile assomigliare a come si vorrebbe essere.

Un blog è un palcoscenico che sembra fatto apposta per il gioco delle identità. Si può essere se stessi anche – spesso più profondamente – indossando una maschera, chiamandosi con un altro nome, cambiando genere.
Con le sole parole, si può provare a essere quello che si vorrebbe e che non si riesce a essere nella vita reale.
Senza volto, senza età, senza abiti e senza la voce, che così facilmente ci connotano agli occhi degli altri, è più facile osare forse non un’altra identità, ma dei piccoli spostamenti dell’essere verso l’immagine migliore di noi stessi che abbiamo dentro ma non sempre riusciamo a tirar fuori.
Non fingiamo, ma proviamo e sperimentiamo su un terreno più protetto e più facile della quotidianità il gioco difficile delle aspirazioni.
Capita poi che all’improvviso abbiamo la sorpresa di ritrovare qualcosa di quegli esperimenti nella vita reale.


Un blog è un luogo dove essere generosi conviene.

Il blog non è un diario aperto solo perché tutti possono leggerlo. Lo è anche perché i link vi hanno un ruolo fondamentale, ne costituiscono le porte e le finestre verso il mondo.
Se introversione, avarizia ed egoismo sono pratiche disdicevoli e controproducenti anche su un sito, a maggior ragione lo sono su un blog, che non è fatto per tenere i lettori tutti per sé, ma per diventare una tappa piacevole di un più lungo viaggio di scoperta.
Più cose interessanti faremo conoscere ai nostri lettori, più ce ne saranno grati.
Le cose da condividere sono tante: i siti e i blog che amiamo, gli incontri nella navigazione quotidiana, quello che stiamo leggendo, vedendo, ascoltando. Senza mai lesinare sui link, fossero anche quelli dei nostri più temibili concorrenti.
Una politica aperta, sincera e generosa dei link è sul web tra le più remunerative: non solo ci porta altri link e attenzione continua, ma contribuisce come poche altre cose alla nostra reputazione, il patrimonio più prezioso per chi comunica e lavora in rete.
Questo naturalmente non significa “scambiare” i link e linkare semplicemente chi linka noi, anzi. Significa fare delle scelte di qualità, segnalare quello che ha valore per noi, condividere una scoperta, soprattutto quando siamo i primi a farla.
A premiarci non saranno solo i lettori, ma anche i giudici più inflessibili: i motori di ricerca, che valutano al massimo l’apertura e la generosità e la gratificano con un posizionamento alto nei loro risultati.


Un blog è un impegno, ma non impegna.

L’impegno con i lettori è un forte sprone e un antidoto alla pigrizia.
Nel delicato equilibrio tra dovere e piacere, un blog ci richiama alla scrittura molto più di un taccuino, di un testo di lavoro, di un sogno letterario.
L’informalità e la leggerezza vi hanno la loro parte. Sul blog si può osare, buttarsi, cancellare, ripensarci, scusarsi, ammettere senza troppi problemi di aver cambiato idea e perché, farsi scappare qualche refuso, smentirsi, essere incoerenti. Insomma, ci si può godere la libertà e la bellezza del lasciarsi andare.
Per gli errori, del resto, disponiamo di una schiera di editor: i nostri lettori.