Le parole della comunicazione interna
di Alessia Rapone
Ascoltiamoci parlare. E allora l’Urlo di Munch o il sorriso enigmatico della Gioconda potrebbero essere la reazione alle parole appena udite. Le nostre e quelle degli altri.
Dentro l’azienda c’è una struttura che ha il compito di comunicare, promuovere e favorire la cultura interna attraverso l’ascolto delle voci che parlano dentro le mura aziendali – durante le riunioni e alla macchinetta del caffè, attraverso slide power point e nelle email di ogni giorno – e la loro elaborazione in un’unica voce con cui l’azienda parla alle sue persone.
Questa è la Comunicazione Interna e questa è la sua mission. Che qualcuno traduce in “missione”, ricordando l’origine latina mittere, inviare, mandare e il participio passato missu, mandato, commissione. Incarico. Da quello dato da Gesù agli apostoli, e da qui alla Chiesa tutta, a quello laico che in italiano e in francese designa un compito, meglio se delicato e importante, e un attribuzione di ruolo.
È proprio mission la prima parola con cui la Comunicazione Interna si confronta, ormai consapevole che nelle aziende far partecipare è meglio che informare e che per rispondere al mandato ricevuto dall’alto deve ascoltare e comprendere i linguaggi che attorno a essa si muovono. A cominciare da quelli provenienti dalle sue fonti interne: gruppi professionali stabili, temporanei gruppi di lavoro, vecchie e nuove strutture aziendali. Una fra tutte, la struttura cui la Comunicazione Interna appartiene, spesso le Risorse Umane.
Dalle Risorse Umane, intesa sia come comunità organizzativa sia come comunità professionale, alla Comunicazione Interna arrivano le parole manovra, squadra, mettere in campo, strategia, leva, direttrice. Si tratta di un linguaggio specialistico, che trae molte espressioni dal settore militare e dal lessico calcistico, soprattutto. Proviene dal francese ressource il termine risorsa, che indicava all’inizio una qualsiasi sorgente cui attingere e dal Settecento in poi un elemento che risorge, rinasce, si sviluppa e si trasforma.
“Attraverso oltre un secolo di ri-forme e re-impasti arriviamo ai giorni nostri, a chiederci se le nostre politiche di gestione vedono le risorse umane, nazionali e aziendali, come 'source' – una fonte non rinnovabile, che rischia l’esaurimento -, o le vedono invece come 'ressource': una fonte che costantemente si rinnova”.
Francesco Varanini, Le parole del manager (Milano, Guerini e Associati, 2006).
E la Gioconda se la ride. E la Comunicazione Interna parla e scrive di persone.
Prepotenti entrano nella Comunicazione Interna le parole dell’informatica che, come sempre accade quando un linguaggio scientifico si diffonde nel linguaggio comune, perdono la precisione di significato e ampliano le possibilità di adattamento. Come implementare, interfaccia, che da connessione fra due parti di un’apparecchiatura diventa persona in carne e ossa nell’espressione “Loredana è la mia interfaccia per i contenuti del portale”. Ma Loredana non dovrebbe esserne fiera. E la Comunicazione Interna spiega, cerca sinonimi, torna all’origine della parola. E ricorda che severity è parola che inganna chi la scrive, se la traduce in “severità” e non in “gravità di un errore”, come invece è corretto.
Se dai professionisti della pubblicità la Comunicazione Interna riceve le parole layout, draft, claim, pay off, da quelli del giornalismo provengono occhiello, strillo, spalla.
E grazie a entrambi fa attenzione all’uso di citazioni, formule, figure retoriche, adattamenti. Sigle, che accorciando la parola lunga permettono di ottenere spazio e facilitano la memorizzazione. A patto che se ne conosca il significato. A patto che non si usino i termini inglesi e quelli del gergo giornalistico tutti insieme, per comunicazioni indistinte, come prassi abituale. L’Urlo di Munch.
Si apre e si chiude, il linguaggio della Comunicazione Interna che ascolta e rielabora i linguaggi di settore, di comunità professionali e geografiche e che insegna a parlare e scrivere chiaro, contro gli abusi di parole troppo formali, troppo burocratiche. Troppe parole.
La Comunicazione Interna, struttura aziendale definita negli scopi e nelle azioni quotidiane, ricorda la radio servizio pubblico nell’Italia degli anni Trenta fino a quella di oggi: un contenitore e miscelatore di linguaggio, un luogo serio dove si sperimenta e ci si diverte.
Non viene meno, per questo, la sua funzione quasi pedagogica e di promozione culturale, proprio come la prima radio in Italia. Solo attraverso l’ascolto, la riflessione e il confronto delle parole che si usano in azienda la Comunicazione Interna può diventare voce radiofonica. Solo attraverso il mixer continuo di suoni e stimoli diversi la radio riesce a creare uno stile e a conversare con tutti.
"La radio potrebbe essere per la vita pubblica il più grandioso mezzo di comunicazione che si possa immaginare, uno straordinario sistema di canali, cioè potrebbe esserlo se fosse in grado non solo di trasmettere ma anche di ricevere, non solo di far sentire qualcosa all'ascoltatore ma anche di farlo parlare, non di isolarlo ma di metterlo in relazione con altri”.
Bertolt Brecht, Discorso sulla funzione della radio.
Come la radio, la Comunicazione Interna parla a un pubblico differenziato, quella “popolazione aziendale” - espressione che sa di geografia, di usi e costumi, di masse in movimento – composta da competenze linguistiche, abitudini d’ascolto e di narrazione diverse. Per raggiungere il grande pubblico con cui si confronta ogni giorno, la Comunicazione Interna prende come riferimento proprio le caratteristiche del linguaggio radiofonico, che spezza la frase lunga in frasi brevi, non usa incisi, ricorre ad esempi, dosa le informazioni.
E nel fare un continuo lavoro di editing formale e contenutistico incorre nelle perplessità, critiche o complimenti dei suoi ascoltatori. Ma così deve essere, vuol dire che il programma funziona.
“La lingua è un bene pubblico, che soddisfa il bisogno primario di scambio e condivisione”.
Gian Luigi Beccaria, Per difesa e per amore. La lingua italiana oggi (Milano, Garzanti, 2006).
Non esistono, allora, le parole della Comunicazione Interna, ma le parole di ogni tipo di comunicazione interna. E non esiste un unico linguaggio di comunicazione interna, riconosciuto e riconoscibile, perché sempre uguale, immobile nel tempo e nello spazio. Esistono norme che diventano pratiche da far vivere ogni giorno perché necessarie alla comprensione reciproca, lontane dai luoghi comuni e dagli steccati gergali del proprio settore professionale, recuperando espressioni della vita fuori azienda, leggendo poesie.
Alessia Rapone, giornalista e copywriter nella Comunicazione Interna di Poste Italiane.
Laurea in Scienze della Comunicazione, collaborazioni giornalistiche, scrittura in azienda.
Ha lavorato in Didagroup su progetti di comunicazione e formazione online. Per la provincia di Macerata ha tenuto il corso Il linguaggio del web. Scrivere un sito e scoprire una passione, per la rimotivazione dei ragazzi delle scuole superiori. Esperienza bellissima.
È ideatrice e autrice di www.raccontolavoro.com – il progetto web che racconta il mondo del lavoro attraverso la cronaca trasformata in storie, esperienze, idee.
Sul Mestiere di Scrivere ha pubblicato anche il quaderno La porta dei desideri. La copertina
Nata nel 1975, è “romana innamorata di Roma” la città dove vive e lavora e in cui si sente sempre un po' turista.