Divagazioni sull’email
Questo articolo non è nato come un articolo, ma come un post scriptum al pezzo di Vincenzo Cimino sulla grafologia" telematica.
Volevo solo aggiungere una breve postilla, ma la tastiera mi ha preso la mano, cosa molto inconsueta per me che scrivo sempre dopo aver pensato molto e aver buttato giù una dettagliatissima scaletta.
Alla fine erano passate due ore e il testo era troppo lungo per proporvelo in coda all'articolo di Vincenzo (anche perché la pagina non si sarebbe scaricata mai).
Ve lo propongo quindi in un'altra pagina sotto il titolo di "Divagazioni", proprio perché tali sono.
L'articolo di Vincenzo, a sua volta, nasce da una conversazione che abbiamo avuto insieme nel centro di Roma.
Ci vedevamo per la prima volta, ma naturalmente ci conoscevamo già per telefono e via email. Una situazione che mi è capitata spesso ultimamente e che mi fa sempre riflettere sulla peculiarità di questo strano mezzo di comunicazione che è la posta elettronica, ormai irrinunciabile nella vita di tutti noi.
Ricevo e scrivo moltissimi messaggi di posta elettronica al giorno, a casa e sul lavoro. A volte mi sembra di non fare altro.
Nel tempo mi sono quindi abbastanza allenata a riconoscere quei piccoli segni che parlano del nostro interlocutore anche quando non lo conosciamo in faccia e non abbiamo mai sentito la sua voce.
Da un messaggio – anche breve – ricevo a volte impressioni molto precise di una persona e del suo carattere. Convincendomi che forse l’assenza di fisicità è un gran bel privilegio della comunicazione via mail, perché in molti casi ci fa conoscere prima e accelera la confidenza, per ritrovarci poi "di persona" magari con qualche imbarazzo iniziale, ma sicuramente con un cammino di conoscenza già percorso.
Come ha scritto Vincenzo, le parole ci raccontano anche quando non sono state scritte a mano, ma appaiono tutte uguali sullo schermo del computer.
oggetti poetici, oggetti funzionali
La riga "oggetto" mi colpisce sempre molto e mi fa aprire dei messaggi prima di altri. Spesso mi spinge a rispondere giocando anch’io con quelle due o tre parole nel mio messaggio di risposta, quasi come in un registro di comunicazione a sé, autonomo dal messaggio stesso.
Ho collezionato nel tempo delle bellissime righe "oggetto"
"Mariella senza più memoria"
(Mariella mi comunicava che la sua agenda elettronica era caduta – e rimasta – in fondo a una fontana
"Glomeruli e dulcamelie. E presto anche le rose..."
(un copy che raccontava i suoi frenetici giri per le agenzie alla ricerca di un lavoro)
(la riscoperta della passione per la scrittura)
"MdS, oh caro!"
(da uno dei primissimi lettori, un poeta delle righe oggetto)
Preziosi sono tutti quei lettori (grazie ancora!), che mi segnalano refusi, errori, link che non funzionano, ma le righe oggetto la dicono lunga sulle loro intenzioni:
"ERRORE GRAMMATICALE!"
"pizzicata!"
"anche gli editor qualche volta sbagliano"
"Lievi errori di battitura"
"Alcune affettuose annotazioni"
"Piccolissimo errore sul sito"
Molti invece, direi la maggior parte, utilizzano l’oggetto per anticipare il contenuto del messaggio:
"vorrei diventare business writer"
"un consiglio, please"
"dimenticavo: i miei recapiti"
"punteggiatura: non sono d’accordo"
"ha voglia di visitare il mio sito?"
date e vi sarà ridato
Una volta aperto il messaggio, in genere mi colpiscono due cose: l’incipit e la cura con cui il testo è stato scritto.
"Spettabile redazione" da una parte mi lusinga perché evidentemente il mio interlocutore ha intravisto dietro il MdS uno stuolo di redattori invece della solitaria sottoscritta, ma dall’altra mi fa pensare "mamma mia, ma in che mondo vive?"
"Salve!", "Ciao Luisa", "Cara Luisa" sono le formule più frequenti, seguite in genere da una brevissima presentazione dello/a scrivente.
C’è anche chi non si presenta affatto e attacca:
"Pregasi inviare informazioni su come si scrivono le lettere commerciali" (o su argomenti altrettanto complessi)
"Invio CV per eventuali, possibili collaborazioni"
"Scambio link per reciproca visibilità?"
"Interessati a scambio link e segnalazioni"
Spesso chi non si presenta si dimentica anche di firmare.
Cura e attenzione nella formulazione e nella stesura del messaggio fanno sempre una bella impressione, anche in messaggi brevissimi.
Le email che apprezzo di più sono quelle che hanno un ritmo, una personalità, in cui traspare tutta la cura nella scelta e nella disposizione delle parole.
Nella risposta impegno in genere la stessa attenzione e lo stesso tempo che percepisco nel mio interlocutore, e credo che sia così per la maggior parte di noi. Rileggo la mail ad alta voce e se inciampo nella lettura e mi accorgo di una ripetizione di troppo, riscrivo.
Tutto questo quando le persone non si conoscono. Quando invece scrivo a corrispondenti abituali e posso contare su un "sostrato" di conoscenza e confidenza, sono estremamente più concisa e sbrigativa. Cerco di arrivare subito al punto, mi permetto critiche esplicite e battute, perché so che tanto nessuno si offenderà.
tra Tu e Lei
Anche l’uso del Tu o del Lei, come l’informalità del tono e del linguaggio ci dicono molte cose non solo del nostro interlocutore, ma anche dell’immagine che si è fatto di noi.
Anche se, tutto sommato, non amo l’eccesso di confidenza neanche su Internet e un po’ di giusta formalità mi piace, quando ricevo troppe mail che iniziano con un "Gent.ma dottoressa Carrada", mi domando se non sto trasmettendo un’immagine troppo seriosa, ma poi magari mi rendo conto che chi scrive è un arrivato dirigente d’azienda il quale, correttamente, vede in me la professionista e così mi apostrofa.
In molti casi, sono io che passo al tu nelle mail successive, soprattutto quando il mio corrispondente è un uomo, che non lo farebbe mai lui per primo.
L’uso disinvolto del "tu" denuncia invariabilmente una persona sotto i quaranta oppure una donna che sente istintivamente delle affinità con me (per età, professione, aspirazioni), mentre il "cara" o addirittura il "carissima" scritto da persone che non conosco mi fanno piacere perché mi fanno capire di essermi conquistata un po’ di quella prima confidenza con la sola forza delle mie parole scritte.
il diritto di non rispondere
Corrispondere con tante persone - persone che magari per età, cultura e professione non avremmo mai incontrato nella nostra vita quotidiana – è un’esperienza che ci arricchisce e qualche volta ci esalta.
Pubblicare un sito e invitare le persone a scriverci significa poi mettersi in gioco, e in qualche modo essere costretti a giocare senza potersi più sottrarre.
Il che significa che bisogna rispondere, sempre. O quasi sempre.
Perché nel tempo ho maturato la convinzione che qualche volta abbiamo anche il diritto di non rispondere. Non quando chi ci scrive non è d’accordo con noi, naturalmente. In quel caso si risponde e devo dire che spesso da diverbi telematici nascono degli scambi interessanti, qualche volta delle vere e proprie amicizie.
Mi considero invece in diritto di non rispondere quando:
-
la richiesta suona come una pretesa
-
il messaggio è di una riga, ma ciò che mi viene richiesto mi comporterebbe una ricerca di un’ora e una risposta di minimo 60 righe
-
il messaggio è apertamente maleducato (ma questi casi sono davvero rarissimi).
Forse non lasciamo più tante tracce inconsapevoli come nella scrittura a mano, ma con l’email sicuramente scriviamo tanto, molto più di prima. E non è vero che scriviamo male, in maniera sciatta e sgrammaticata per la fretta, come in molti vogliono farci credere.
Insieme a messaggi frettolosi (ma ne scrivevamo così anche a mano, no?), ricevo messaggi bellissimi, pensati, strutturati, curati, che magari in poche righe raccontano intere vite e persone. Ricevo messaggi che archivio subito, messaggi che mi lasciano indifferente, messaggi che mi fanno arrabbiare e messaggi che mi fanno commuovere. Questi ultimi me li stampo anche e li conservo in un raccoglitore a parte. In certi momenti li rileggo, esattamente come faccio con le lettere di carta che conservo gelosamente a pacchetti, legati ognuno con un nastro di colore diverso.