Se globali vuol dire tutti uguali
Il Forum dell'Informatica per la Pubblica Amministrazione, che si svolge ogni anno a Roma all'inizio di maggio, è un appuntamento fisso e importante per tutte le aziende di Information Technology. Compresa la mia, che dal business con la pubblica amministrazione ricava una bella quota del suo fatturato. La struttura di Comunicazione di cui faccio parte è quindi in prima linea nella preparazione di questo evento: stand, slogan, materiale illustrativo della nostra offerta, trailer, una energica revisione del sito internet.Quest'anno io e le mie colleghe abbiamo fatto una drastica scelta di "leggerezza", come avevo già raccontato in un'altra pagina di questo sito.
Siamo o non siamo ormai nell'era del web, che condiziona i nostri tempi di lettura, la nostra attenzione, il nostro modo di rapportarci con i testi? Allora abbiamo optato per schede di prodotto di una sola pagina, con testi sintetici, impaginati come una newsletter, con un forte uso di liste, neretti, titoli e sottotitoli, schemi che aiutassero al massimo la lettura del frettoloso e distratto visitatore di una fiera.
Per saperne di più, c'era l'indirizzo del nostro sito internet e l'indirizzo email della struttura aziendale cui rivolgersi direttamente.
Quanto allo stile, pochi slogan tutti legati alle funzionalità dei prodotti e servizi che presentavamo, descrizione asciutta, aggettivi banditi (non tutti, ma quasi). Il tutto impaginato rigorosamente su fondo bianco.
Il nostro stile spartano ci convinceva a pieno e ne eravamo piuttosto orgogliose, certe di essere assolutamente in linea con quanto sicuramente stavano facendo anche le altre aziende cosiddette "leader di mercato".
Ma già un primo giro degli stand si è rivelato una sorpresa. "Che fine ha fatto la brochure?" mi ero chiesta solo due mesi fa sulle pagine di questo sito. Be' ora ho la risposta: sono tutte negli stand delle aziende di Information Technology. Che producono brochure costose, pesanti e illeggibili, indistinguibili l'una dall'altra se non per il logo aziendale.
Me ne sono riempita una sporta e una volta tornata in ufficio me le sono guardate (leggerle sarebbe stato una vera tortura) una per una. Il senso di monotonia e di noia mi ha assalita: copertine lussuose neanche si trattasse di preziosi saggi, corredo di immagini con donne, manager e bambini (di vari colori, naturalmente) sorridenti e festosi davanti a tastiere e pc, linguaggio del peggior market/corporatese (ma non avevamo tutti firmato il Cluetrain Manifesto?).
Solo qualche esempio di titoli e slogan:
- Un buon rapporto con il cliente è alla base di un buon business.
- Concentrare le energie sul core business.
- Per dare la risposta giusta ad ogni diversa esigenza.
- Insieme per garantire la qualità dei servizi.
- Un nuovo punto di incontro con la pubblica amministrazione.
- Soluzioni e servizi per assicurare il cambiamento.
- Partner d'eccellenza per le amministrazioni che cambiano.
- La qualità come modo di pensare: un fattore competitivo.
In Alice nel Paese delle Meraviglie, ad Alice che non sa dove andare il gatto fa acutamente notare: "Se non ti importa di dove stai andando, non fa nessuna differenza quale sentiero prendi". Tra gli stand del Forum PA si aveva proprio la sensazione che le aziende italiane di informatica e telecomunicazioni non sapessero dove andare e che girassero un po' a vuoto, affidandosi a parole e discorsi vuoti.
Naturalmente non è così, perché c'erano fior di aziende che il loro business sanno farlo alla grande, solo che i loro stand, le loro brochure, gli schermi dei loro computer sembravano non riuscire a rappresentarlo. Come se ci fosse una frattura fra l'azienda e la sua comunicazione.
Globali, insomma, ma tutti uguali.
Eppure ogni azienda vince sul mercato non per ciò che la rende uguale, ma per ciò che la rende "unica" e diversa dai concorrenti. Perché noi comunicatori riusciamo sempre meno a farci interpreti di questa unicità?
Forse dovremmo riscoprire la piccola sigla USP - Unique Selling Proposition, cioè porci concretamente e onestamente la domanda: "Perché i clienti dovrebbero rivolgersi a noi invece che ai nostri concorrenti?"
Poniamo questa domanda ai colleghi del marketing e ai vertici aziendali e ripartiamo da lì. Se non riusciamo ad avere delle risposte convincenti, proviamo a rispondere da soli a una serie di domande apparentemente ingenue e "facili facili", quali:
- chi siamo
- qual è il nostro settore di mercato
- a chi ci rivolgiamo/chi sono i nostri clienti
- a quali esigenze diamo risposte
- chi sono i nostri concorrenti
- cosa ci distingue da loro
- qual è il benefit unico che noi offriamo.
Facciamo un brainstorming con i colleghi, buttiamo giù un elenco di "unicità", sottoponiamolo alle funzioni aziendali più importanti, discutiamone, arriviamo alla nostra USP, facciamola approvare dall'amministratore delegato e basiamo su di essa tutta la nostra comunicazione interna ed esterna: intranet, tagline e testi del sito internet, payoff da riportare in tutta la documentazione istituzionale e di prodotto, comunicati stampa.
Naturalmente la nostra USP deve riferirsi a qualcosa di molto reale e concreto (abbiamo i prezzi più bassi, siamo leader di mercato e quindi i più bravi ed affidabili, abbiamo un servizio di assistenza che ti risolve il problema entro le 24 ore, il nostro magazzino ha sempre disponibile il pezzo che ti serve) e non assomigliare a quelle solenni e retoriche dichiarazioni che sono le mission e le vision.Quando l'USP è chiara, anche il lavoro del comunicatore diventa molto più semplice ed efficace.
Allora, internet ci può aiutare davvero. Ma non ad assomigliarci, piuttosto a distinguerci.
In pratica:
- selezioniamo i siti internet dei 3/5 principali concorrenti
- stampiamo almeno le pagine istituzionali e sull'offerta
- leggiamocele con molta attenzione
- evidenziamo tutte le frasi fatte che si applicano facilmente a qualsiasi altra azienda del settore
- facciamo la top ten delle frasi più abusate
- stendiamo l'elenco delle parole più abusate
- sgombriamo la scrivania
- mettiamo da una parte la nostra USP e dall'altra "il peggio di"
- apriamo un nuovo documento
- proviamo a riscrivere il profilo aziendale come se fosse la prima volta e come se dovessimo spiegare chi siamo e cosa facciamo a un ragazzino di 10 anni.
Il metodo è casareccio, ma vi assicuro che funziona e che dopo un po' si diventa davvero allergici al "già visto e già sentito". Non è detto che dopo i nostri testi saranno perfetti e originalissimi, ma anche quando saremo costretti a fare i nostri compromessi con il corporatese, li faremo consapevolmente e con un po' di vergogna. Sensazione sgradevole sul momento, ma effetto salutare sui tempi medio-lunghi.