Grafologia telematica

di Vincenzo Cimino

 

Una volta c'erano i grafologi: signori seri, misteriosi, con una gran curiosità per il genere umano. A loro non interessava tanto quel che scrivevamo, ma come lo scrivevamo. E ci scoprivano nei gesti più inconsapevoli, quelli che, bambini, abbiamo imparato giocando con le matite colorate.
Fra poco non esisteranno più. Nulla di personale, è solo che scomparirà la scrittura a mano: quanti di noi, ormai, utilizzano la penna per scrivere qualcosa più di una cartolina, il retro di una busta o un post-it? Però continuerà a esistere la capacità di contaminare con la nostra personalità i mezzi espressivi. E anche la curiosità di scoprirla, questa personalità.
Allora, seppure con nostalgia, perché è inevitabile, salutiamo la scrittura a mano e guardiamo avanti, per scoprire cosa sostituirà i fogli pieni di segni e colori sui quali, più o meno consapevolmente, abbiamo impresso sentimenti e stati d'animo di ogni nostra età.
E non dobbiamo guardare troppo avanti, perché già esiste lo strumento che più volte al giorno, tutti i giorni, molto più di prima, porta le nostre parole per il mondo: l'email.

Certo, appare strano applicare a questo mezzo - così freddo e tecnologico - sia pure solo qualche regola della grafologia. E infatti lo è. Però, a ben vedere, anche qui, in qualche modo, riusciamo a seminare un po' della nostra personalità, dei nostri sentimenti, tanto da far parlare di noi un semplice insieme di segni dattiloscritti. Al di là delle parole e del loro significato.

Dobbiamo solo individuare nuove regole. O meglio, nuove sensibilità, perché quando si ha a che fare con l'uomo, "regola" è una parola grossa: ci sono troppe eccezioni. Queste sensibilità vengono spesso sviluppate, oltre che dagli innamorati che si corteggiano via filo, da chi con le email lavora e continuamente legge e risponde a messaggi. Come me, ad esempio, che lavoro in un Ufficio Relazioni con il Pubblico.

Bene, incominciamo. E iniziamo dall'alto: dall'indirizzo di posta elettronica. Una volta Luisa, la padrona di casa di questo sito, disse che l'indirizzo dà l'idea della serietà di una persona. Ed è vero: un bell'indirizzo, con tanto di nome e cognome, è da solo una presentazione e una promessa di non perdere tempo. E allora riserviamogli più attenzione, magari evitando le inutili fantasie tipo "bombaononbomba70chiocciolavattelappesca".

Diamo anche un'occhiata a quello che c'è dopo la chiocciola: se c'è la sigla di un provider, probabilmente è un comune cittadino; se invece appare la sigla di una società, allora si tratta di una richiesta connessa al lavoro. Saperlo è utile per calibrare la risposta: se chi scrive è un dipendente di banca, si possono tranquillamente sfoggiare rinvii a leggi e regolamenti del settore; dare la stessa risposta al "nonnetto" che vuole sapere che fine hanno fatto i propri risparmi, invece, significherebbe solo fargli perdere tempo. Meglio andare sul semplice.

Ma anche fra provider e provider c'è differenza. Ad esempio, alcuni, prima di rilasciare un indirizzo, procedono ad un accurato accertamento del richiedente, che deve fornire anche il codice fiscale (elemento di identificazione certa della persona). Altri si accontentano di molto meno. Certo, non per questo dobbiamo criminalizzare chi si affida a un provider meno attento. Però, mettiamola così: difficilmente qualcuno inietterà virus letali nei nostri circuiti stampati (magari con un .exe) attraverso un provider che identifica esattamente gli utenti.

Accanto all'indirizzo, poi, ci sono data e orario. Nella comunicazione telematica il tempo assume una rilevanza propria. Perché è monitorato. Rispondere immediatamente vuol dire attribuire importanza all'interlocutore. E significa anche dimostrare efficienza, il che lascia sempre una buona impressione di noi.
L'orario dice anche altre cose. Per esempio, un'email inviata alle sei del mattino o è del solito "nonnetto" che soffre d'insonnia o, probabilmente, l'autore del testo non ci ha dormito la notte. In questo caso, una risposta generica e svogliata non ci sarebbe perdonata.

Sempre in materia di ore e minuti: alcuni programmi di posta permettono, entrando nelle proprietà del file, di sapere quanto è durata la gestazione dell'email, se è stata successivamente modificata o se è stata scritta di getto. Certo, si potrebbe obiettare che sbirciare nel file è un po' come guardare dal buco della serratura. Ma non facevano lo stesso i grafologi nel desumere ottimismo o pessimismo, propensione alle cose passate o al futuro, a seconda del margine che lasciavamo a destra piuttosto che a sinistra, o dell'inclinazione che imprimevamo alla zampetta della "q"? E comunque queste informazioni ci servono solo per calibrare la risposta, ponendo ancora più attenzione a non "snobbare" chi ha messo un certo impegno nello scriverci.

A proposito di programmi di posta elettronica: è noto che la quasi totalità sono Microsoft. Che dire di quei pochi che si avvalgono della sparuta concorrenza? Vengono in mente tre considerazioni:

  • sono degli originali; fin qui niente di male
  • sono degli inguaribili utopisti, irrimediabilmente affetti, nella battaglia contro il monopolio, dalla sindrome del Don Chisciotte
  • sono dei… beh, lasciamo perdere, anche perché la considerazione potrebbe essere autobiografica. E comunque, spesso, coincide con la seconda. E non solo nelle scelte informatiche.

Veniamo all'oggetto. Certo, chi nell'email riempie anche l'oggetto rischia di fare la figura del "pierino". Del precisino, insomma. Però in questo caso "bisogna" essere precisini, perché l'oggetto è utile. Utile per capire immediatamente di che si tratta; utile per ritrovarla quando sarà annegata in un mare di righe di "posta in entrata" o di "inviati"; utile, infine, per fare la differenza fra un'email letta e una cestinata, perché le email che riceviamo sono sempre di più e il tempo sempre quello: la prima selezione passa per l'oggetto.

Finalmente passiamo al testo. E diamo subito un'occhiata in generale. Dall'uso di "effetti speciali", di caratteri o carte intestate particolari, di evidenziature o di altre diavolerie che un comune programma consente, possiamo subito capire se abbiamo di fronte un appassionato delle "impostazioni", profondo conoscitore dei menù a tendina per il quale tutto deve essere curato nei minimi particolari. Ecco, con uno così, nella risposta, evitiamo almeno di confondere bit e byte.

I convenevoli. Se c'è molta familiarità non si usano. E si capisce, perché i "Caro Pinco" e "Cara Pallina", in un'email tra amici che si sentono tre volte al giorno, rischiano di essere come la signora Rita Levi Montalcini in una discoteca tecno di Riccione. Anche se, a volte, è bello sentirsi "fuori moda" e concedersi qualche affettuosità in più.
Ma negli altri casi si sente di più il bisogno di interporre qualcosa, magari di più informale, magari solo un saluto, fra oggetto e messaggio. Ed è giusto, perché testimonia rispetto e attenzione per chi legge. E infatti, le email di insulti che ogni tanto capita di ricevere non hanno quasi mai convenevoli. Né all'inizio, né alla fine. Chissà perché…
Il tipo dei convenevoli usati, poi, la loro maggiore o minore formalità possono dire che tipo di persona abbiamo di fronte: c'è differenza fra chi esordisce con un "salve" e chi ci inquadra con "Gent.mi Signori". Se ne può intuire l'età, la voglia di apparire più o meno originale, serio, informale ovvero rispettoso delle convenzioni. Questa volta, però, non utilizzeremo le informazioni per calibrare la risposta: ognuno si tenga il proprio stile.

Affrontiamo il testo vero e proprio. Un testo sciatto si riconosce subito. Questione di refusi, spaziature, proprietà logica e grammaticale. Un testo curato, invece, trasmette serietà, ordine mentale, rispetto e attenzione, tutte qualità che chi scrive meriterà di trovare nella risposta.
A volte, due testi ugualmente curati possono differire notevolmente nei messaggi, diciamo così, occulti. Per capirlo, però, questa volta, non ci sono proprio regole: si tratta solo ed esclusivamente di sensibilità. Ce ne accorgiamo quando l'email ha qualcosa di particolare: un suo ritmo, quasi una musicalità, una estrema raffinatezza nella scelta dei vocaboli, un uso diverso della punteggiatura, più "fonico", meno attento alle regole che abbiamo imparato alle elementari, una spaziatura attenta e una suggestività di fondo. 
Ecco, se percepiamo chiaramente che ogni lettera, ogni virgola di quel messaggio è stata studiata e ristudiata, che ogni "a capo" non è a caso, allora due sono le cose: o chi scrive è un "mago" con le parole, oppure vuole far colpo su di noi. O, tutt'e due. Il che può capitare più facilmente nelle relazioni personali, meno in quelle lavorative. A meno di non lavorare "al personale" e leggere il curriculum di un candidato.

Per finire i saluti. La questione è breve: vale quanto detto per i convenevoli.

Tutto qui. Anche perché queste righe non vogliono essere un manuale di lettura delle email. E poi, è probabile che alcune delle presunte regole siano pure sbagliate, o comunque applicabili a una ridicola minoranza di persone.
Però tutte vogliono far riflettere sul fatto che la comunicazione non avviene solo con il linguaggio del vocabolario, ma ci sono anche altri piccoli particolari, dettagli, che viaggiano insieme alle parole. A volte le completano, a volte le contraddicono, ma sempre hanno qualcosa in più: sono spontanei, perché non siamo abituati a controllarli. Grazie a loro, più facilmente potremo "svelare" una persona e la rete di rapporti che la lega alle altre, che la lega a noi stessi.


Vincenzo Cimino
Laureato in giurisprudenza, lavora in un'autorità amministrativa indipendente. Parecchi anni li ha trascorsi a fare l'"operativo", a occuparsi cioè di "competenze istituzionali". Ora lavora nell'Ufficio Relazioni con il Pubblico.
Su questo sito ha scritto anche Noi, Uffici Relazioni con il Pubblico.