Il mondo più ricco dei bambini che scrivono
un'intervista a Luisa Mattia
All'esperienza di scrittura creativa con i bambini che si fa da parecchi anni in una scuola pubblica romana avevo già dedicato un post sul blog. Mi ero ripromessa di tornarci su, e di condividere questo approfondimento con i lettori di questo sito. Lo faccio con un'intervista a Luisa Mattia – insegnante, pedagogista, scrittrice per bambini, autrice di Melevisione - che coordina e anima questo progetto fin dagli inizi. Per chi poi voglia conoscere meglio Luisa, rimando al suo sito, completo di blog. Insieme a Janna Carioli, Luisa ha da poco pubblicato il libro Scrivere con i bambini, ricchissimo di idee, spunti ed esercizi per gli insegnanti che desiderano inventare e scrivere storie con i loro alunni.
I bambini adorano ascoltare le storie, anche le stesse per infinite volte. Si appassionano altrettanto facilmente quando sono chiamati loro a inventarle e a scriverle?
Sicuramente no. Se ascoltano così volentieri è perché c'è un adulto che attraverso il suo corpo e la sua voce li fa entrare in un mondo immaginario. Tra loro si stabilisce allora una complicità, un canale di comunicazione diretto, incantato. È un fatto quasi ancestrale.
Con la scrittura c'è invece un filtro, inevitabile. Un filtro legato all'atteggiamento degli adulti nei confronti della scrittura infantile, che le danno priorità solo in funzione di un apprendimento. Quando un adulto propone ai bambini di scrivere, la disponibilità dei bambini è sempre accompagnata dalla cautela: i bambini sospettano sempre un possibile trabocchetto, pieno di seconde intenzioni.
Quello che pensano è: “Tu mi stai dicendo ‘scriviamo questa storia, ma in realtà sei un furbacchione, perché chissà che cosa vuoi ottenere da me: l'ortografia, gli approfondimenti, più fatica…'” Si mette insomma in discussione l'aspetto di piacere che invece è inequivocabile con la lettura da parte di un adulto.
Sta agli adulti superare quel filtro e quella diffidenza, entrare in una dimensione in cui si scrive “con i bambini”, in cui la scrittura è anche gioco, invenzione. Basta pensare ai bambini piccoli, che ancora non sanno scrivere. Sostengono di scrivere, attraverso dei geroglifici incomprensibili che loro però leggono. Per loro la storia c'è, e la leggono su dei segni che nessuno ha mai codificato.
Quando si scrive insieme ai bambini bisogna quindi recuperare il puro piacere dell'invenzione e della narrazione, mettendo da parte preoccupazioni lessicali o ortografiche, strutturali, che certamente ci saranno, ma su altri piani e con altre esercitazioni.
Quando è che scatta quindi il piacere di scrivere?
Quando prende forza la storia. Mentre per un adulto che scrive c'è anche il gusto linguistico dello stile, il senso della scelta di una parola, dell'eleganza di una frase, per un bambino fino ai dieci anni questo aspetto meramente linguistico è molto secondario. Quello che domina è la storia. La voglia di andare avanti scatta nel momento in cui scoprono che la storia sta crescendo nella loro testa: un'emozione pari a quella che prova uno scrittore, un'emozione fisica, che senti dentro.
Il libro che avete scritto tu e Janna è ricchissimo di giochi linguistici, spunti, suggerimenti per gli insegnanti. Quasi tutti partono da un piccolo scarto dalla norma, da un errore. Qual è il ruolo dell'errore nell'educazione linguistica in un contesto scolastico in cui comunque i bambini devono imparare a parlare e a scrivere in modo corretto?
L'errore è parte integrante della lingua e soprattutto dell'apprendimento di una lingua. Far finta che l'errore non esista se non per essere corretto è un approccio sbagliato. Questo i nostri grandi autori e pedagogisti l'avevano capito benissimo: Gianni Rodari, Loris Malaguzzi, Bruno Ciari ci hanno costruito sopra una pedagogia.
Una pedagogia che non giustifica l'errore, ma che lo considera un aspetto fondamentale della costruzione e della crescita di un linguaggio. Procedere per errori è in sintesi la storia della lingua e della comunicazione.
L'errore è occasione di spiazzamento del punto di vista: basta cambiare una vocale e la zuppa diventa la zappa, un'altra cosa. Con gli errori i bambini giocano e si divertono, considerandoli una scoperta, che si porta dietro narrazioni, suggestioni, assonanze… Spesso i bambini inventano parole inesistenti che in una scuola tradizionale vengono regolarmente cassate. Invece il mondo linguistico di un bambino contempla anche le parole inventate a partire da un errore.
In questo senso lavorare con l'errore non significa mettere in conflitto errore e correzione, anzi se io sbaglio tra zuppa e zappa , è sicuro che quell'errore non me lo scordo più. Ci ho giocato, ho riso, ho costruito con la fantasia, ho immaginato, ho scritto altre parole, mi sono divertito. In una lunga catena associativa che è il requisito essenziale di ogni apprendimento, lingua compresa.
Però voi insegnanti ogni anno producete con i bambini un vero libro, che va in libreria, pubblicato da Fazi Editore. Quindi arriva comunque il momento della correzione necessaria, quando il libro si deve fare e prendere forma…
A quel punto la correzione funziona perché i bambini sanno benissimo di stare scrivendo un libro che verrà stampato, quindi sono già in una dimensione di comunicazione verso l'esterno che invece quando lavorano in classe può anche non essere contemplata.
È come presentarsi puliti e stirati, ma mantenendo le proprie scelte di abbigliamento, per cui il lavoro che si fa è sì di controllo dell'ortografia e della punteggiatura – prezioso dal punto di vista dell'apprendimento –, ma non di correzione delle forme e dello stile di scrittura dei bambini.
Anche gli insegnanti imparano molto in questa fase, soprattutto a superare l'idea standard della lingua italiana per cui le frasi si scrivono in un certo modo, una descrizione si fa in un certo modo e non in un altro, il punto si usa in un certo momento e non in un altro.
I bambini, naturalmente creativi e anarchici, queste regole le mettono in discussione in continuazione. Sanno perfettamente che esistono delle regole, però nella modalità di narrazione si mantengono liberi, facendo crescere anche la consapevolezza degli insegnanti.
Insieme, insegnanti e bambini praticano dei modelli, e insieme imparano che sono infiniti, per cui ogni anno si aggiungono delle nuove possibilità espressive.
Quest'anno, per esempio, le insegnanti hanno scoperto quanto sia fulminante l'espressività dei bambini quando utilizzano i dialoghi. Modalità sofisticata e difficile per gli adulti che scrivono, assolutamente naturale per loro.
Da sette anni, producete un libro che appartiene a un diverso genere letterario, dal racconto breve al giallo. Come avvicinate i bambini ai generi e quali prediligono, quando scrivono e quando leggono?
A dire il vero i generi letterari li pratichiamo noi insegnanti, perché ai bambini non li proponiamo in maniera esplicita, anche per evitare catalogazioni che forse sono forzate. Il primo anno abbiamo sperimentato tutti i generi come il catalogo del Don Giovanni di Mozart.
Vari gruppi hanno lavorato e si sono sbizzarriti su diversi generi: romanzo, racconto breve, biografia. Solo dal secondo anno ci siamo focalizzati: racconto breve, riscrittura delle fiabe popolari (Il cane che apriva le porte è la riscrittura di Cenerentola), autobiografia dei bambini, biografia, romanzo giallo e quest'anno il romanzo di fantascienza.
Nella scrittura è importante soprattutto che la storia li prenda e che si divertano, senza dimenticare mai di inserire un elemento di comicità, essenziale per i bambini. Invece quando leggono amano soprattutto le avventure, le storie dove succede qualcosa, le avventure in cui si ride.
Adorano i romanzi horror, come se fossero una medicina da contrapporre agli adulti che invece li detestano.
Amano anche i romanzi fantasy, dal Signore degli anelli in giù, dove si svolgono battaglie tra le forze del bene e forze del male. Inutile dire che neanche il fantasy spesso piace gli adulti.
Attraverso queste predilezioni, è come se i bambini anticipassero una ribellione generazionale praticandola attraverso i libri. O più semplicemente sono quei libri che, ripetendo gli schemi della fiaba popolare e della narrazione, rispondono ai bisogni più profondi dei bambini, che hanno una visione cosmogonia delle cose… bene male, buono cattivo, una drastica separazione che li conforta e che cercano anche nei libri.
Queste esperienze di scrittura creativa coinvolgono i bambini delle elementari e delle medie. Alle scuole superiori tutto cambia. Secondo te cosa resta loro, cosa resta di incancellabile, che porteranno con sé anche nella vita adulta?
Credo che rimanga loro moltissimo, anche se non in forma consapevole.
Sono sicura che restano la sorpresa e lo stupore di scoprire che scrivere, inventare, usare la lingua, offrano loro delle continue opportunità. Che inventare e scrivere non è una cosa che finisce, ma che ricomincia sempre, come le fiabe, come le storie.
La seconda cosa che resta è che scrivere storie è un passaggio, un pezzo del grande mondo del linguaggio e della lingua. Che quindi, quando si entra in una storia, si dilata il mondo, si moltiplicano le possibilità interpretative, che è la stessa dimensione che si vive quando si legge. Sperimentano che scrivere una storia significa entrare in una cornice di piacevolezza, di ampliamento delle opportunità. Penso che una volta provata questa dimensione sia un po' difficile dimenticarsene definitivamente o lasciare che venga rapinata da altre situazioni di censura o di bon ton linguistico.
Forse c'è anche una terza cosa che i bambini si portano dietro come possibilità, e cioè l'idea che scrivere storie non sia superfluo, e soprattutto che non sia un comportamento “bambino”. Spererei molto in questo, perché in genere nella percezione del mondo adulto scrivere storie è un po' prendersi il lusso di perdere tempo.
Credo che da un punto di vista educativo sia essenziale scoprire quanto è bello perdere tempo con la creatività. E sarebbe bello che i bambini se lo portassero dietro come un elemento di disobbedienza in senso positivo, che li aiuti a rinnovarsi la vita.
E a loro volta, cosa imparano gli insegnanti scrivendo con i bambini? Sui bambini, ma anche su se stessi?
Gli insegnanti imparano moltissimo. Intanto imparano che hanno già imparato molte cose, perché in genere hanno la memoria corta o, in alternativa, una sicurezza un po' monolitica.
Creare storie con i bambini significa attingere a quello che sai già fare, scoprire che non te lo sei scordato, capire che è perfettibile e che può evolvere ancora.
Essere in una situazione di reciprocità con i bambini è una dimensione irripetibile dell'essere insegnante, un privilegio straordinario che non sempre gli insegnanti riescono a vivere. Scrivendo con i bambini, complici con loro, scopriamo la libertà di scoprire i nostri errori e di correggerci. Attraverso i nostri errori scopriamo noi stessi, che è un grande regalo e una grande opportunità di autoformazione.
Laureata in Pedagogia, Luisa Mattia è insegnante, giornalista e scrittrice. Collabora a riviste specializzate nel settore educativo e svolge corsi di formazione su Tv, cinema, arte e bambini diretti agli insegnanti.
Scrive romanzi. Nel 2005 è uscito Merlino, il cerchio del futuro per le Edizioni e/o. Nel 2006 sono usciti i romanzi La scelta per le Edizioni Sinnos (Premio PIPPI 2006) e I jeans di Garibaldi per Carthusia Edizioni.
Per La Meridiana ha scritto insieme a Janna Carioli, Scrivere con i bambini. Percorsi di scrittura creativa per la scuola.
E' coautrice dei testi per la trasmissione di Raitre Melevisione. Ha ideato e coordina, in collaborazione con le insegnanti dell'Istituto Comprensivo “Parco di Veio” di Roma, il progetto “Edizioni dei bambini” che finora ha portato alla pubblicazione di 14 libri di narrativa scritti e illustrati dai bambini stessi (Fazi Editore).
Il sito di Luisa Mattia.