La brevità dall’Album di Giuseppe Pontiggia


dal Sole 24 Ore di domenica 26 aprile 2002

La brevità non è più una qualità dello stile, ma una caratteristica del formato. Si stampano libri sempre più corti. L'aggettivo vale sia per la grandezza delle pagine, sia per il loro numero. Quanto alla grandezza dei caratteri, è inversamente proporzionale al formato. Si stampano libri sempre più piccoli, con caratteri sempre più grandi. Sembrano una nostalgia visiva dei libri per l'infanzia e agevolano chi ha la vista corta, ma non lo ammette (la maggior parte degli uomini sopra i quarant'anni, che si arendono tardi agli occhiali, mentre le donne sono, come sempre, tempestive). E soprattutto agevolano chi ha poco tempo e lo ammette.

È un fenomeno che qualche anno fa avrei liquidato con una parola riduttiva, moda: più un rifiuto che una riflessione, più una condanna che una valutazione. Però ho imparato a diffidare non solo dei pregiudizi degli altri, ma dei miei: un'attività che ci apre spazi, deludenti quanto corroboranti, per migliorare.

La stupidità degli altri è il nostro bersaglio, la nostra la scopriamo a poco a poco, con sorpresa inquieta e con acquisizione sicura. Liberarsene dà sollievo raro, come il congedo dagli scarponi dopo una gita in montagna. Ho sempre invidiato agli scalatori, oltre all'ebbrezza delle vette, le sensazioni che devono provare quando, rientrati alla base, si liberano del peso degli indumenti: anche se la proiezione di questo piacere non mi è mai bastata per sognare di emularli.
Ho imparato ad essere meno insofferente di fronte alle indicazioni della moda. Non per assecondarne le scelte, ma per individuarne le radici e capire che rapporto hanno con la nostra esperienza storica e, dettaglio non trascurabile, con il mio lavoro.

Se Callimaco, tanto per rimanere nell'attualità, diceva nel III secolo a.C. "grande libro grande male", non solo inaugurava il gusto del piccolo (ovviamente i migliori non si accodano alle mode, le promuovono), ma segnalava, oltre all'incapacità di ricreare l'epos, la necessità e anche il bene di scelte diverse. E queste scelte, più che dalla rassegnazione ai propri limiti, derivavano dalla diversità delle mete.

Chi scrive un epigramma non lo fa per sottrarsi al delirio di emulare la Commedia, ma perché si riconosce in questo genere. E se molti agiscono come lui fino a determinare una moda, è perché quel genere stimola la loro inventiva e risponde alle esigenze dell'epoca e alle aspettative personali.

Anziché chiedersi come mai non si scrivono più i grandi romanzi ottocenteschi occorrerebbe - sia pur lasciando margini alla genetica - prendere atto che gli autori autentici fortunatamente non ci pensano, si muovono dentro altri orizzonti, sono attratti da altre finalità. Cercano di essere veri e utili esprimendo qualcosa di essenziale con i mezzi di cui credono.

In questo quadro, la tendenza al formato piccolo e al testo concentrato non è detto voglia assecondare la pigrizia e la superficialità del lettore. Nasce piuttosto da nuove modalità di lettura, da restrizioni di tempo, dal dilagare dell'informazione, dal bisogno di sintesi, dalle mutazioni del gusto (non sempre degenerative).

Un editore geniale e ironico rimpiangeva scherzosamente per l'editoria il tempo della guerra, quando il coprifuoco obbligava la gente a riparare in casa al tramonto e nessun libro rimane invenduto. Il miracolo della lettura nell'Unione Sovietica, con il coprifuoco della dittatura, non è continuato nella Russia d'oggi, con il suo impiego diversificato del tempo libero. Oggi da noi neanche il coprifuoco distoglierebbe lo spettatore satellitare dai suoi mille canali. E direi che la riduzione del tempo agisce purtroppo, anche se non lo ammettono, sui lettori cosiddetti forti, ma comprensibilmente deboli di fronte a tante tentazioni alternative.

Non vorrei essere frainteso, come si dice inutilmente in Italia. Non ho niente contro il grande libro ostracizzato da Callimaco, anzi spesso sono attirato, nei saggi, proprio dalla mole delle pagine e delle note. Non dimentichiamo poi che molti best seller spiccano, se non per grandezza, almeno per grossezza; e che molte innovazioni scelgono strade che non coincidono con le autostrade del pubblico e che hanno nomi particolari: deviazioni, inversioni di rotta, controstrade.

Non stavo facendo l'elogio del mercato, è un'opzione che lascio ai venditori più inetti, sempre pronti ad accudirlo nei suoi difetti e mai a orientarlo nelle sue qualità. Sto parlando di un altro punto: di una tendenza editoriale e letteraria che, sia pure con le sue scorie e i suoi detriti, non è estranea alla corrente della nostra vita e quindi alla nostra cultura. Si può vederla come una degradazione dell'epoca e considerarla un condizionamento da volgere in positivo. Non è facile, ma può essere un'opportunità da cogliere.

La brevità cui accennavo ironicamente all'inizio viene intesa comunemente come amputazione, riduzione, scorciatoia. Ma la brevitas è risorsa espressiva di incommensurabile potenza. Scelte antitetiche possono dare esiti altrettanto forti. Però la sfida, se le parole diminuiscono, è di dire di più. E forse riserverà più sorprese che difendere a oltranza, come spesso accade, i limiti di un io.