Il ritmo della parola scritta

Nella classica scansione del processo della scrittura - progettazione, redazione, revisione -, io programmo e dedico sempre più tempo alla prima e all'ultima. La fase di produzione, di scrittura vera e propria, è quella che mi preoccupa meno.
Se ho studiato a fondo un tema e ho ben chiaro cosa devo dire, quando mi metto a scrivere corro velocemente verso la fine. Metto il punto, mollo tutto per un po' e poi mi impegno a fondo nell'ultima fase, quella fondamentale della revisione.
Per la revisione ognuno ha i suoi metodi e le sue sottofasi. Tra queste, non rinuncio mai alla lettura ad alta voce.

Si può essere un grande scrittore e avere un editor professionale a disposizione, oppure un business writer di impresa con un collega di stanza disposto a fare con pazienza le bucce al proprio testo, o ancora avere un familiare amorevole ma severo con la matita rossa e blu. Però non ho ancora trovato un editor migliore del mio orecchio.
L'orecchio si accorge di tutto: di errori e refusi, ma soprattutto dei più sottili squilibri di ritmo, di parole fuori posto, di frasi troppo lunghe, di ripetizioni fastidiose, di disagi nella lettura. 
Quando si rilegge ad alta voce, se il ritmo non funziona ci si ferma, si cancellano o si aggiungono parole, ma soprattutto le si spostano finché la nostra voce finalmente scivola via senza incontrare più ostacoli.

In Lettere a un aspirante romanziere - un bel libretto pubblicato nella collana Stile Libero di Einaudi - Mario Vargas Llosa racconta come faceva Flaubert nella sua spasmodica ricerca della "parola giusta":
Non so se lei sa che Flaubert aveva, a proposito dello stile, una teoria, quella del "mot juste". La parola giusta era quella - unica - che poteva esprimere compiutamente l'idea. Dovere dello scrittore era trovarla. Come poteva sapere quando la trovava? Glielo diceva l'orecchio: la parola era "giusta" quando suonava bene. Quel perfetto adeguamento tra forma e materia - tra parola e idea - si traduceva in armonia musicale. Perciò Flaubert sottoponeva tutte le sue frasi alla prova de "la guelade" (lo schiamazzo o vocìo). Se ne andava a leggere ad alta voce quello che aveva scritto, in un viale alberato di tigli che esiste ancora vicino alla sua casa di Croisset: "la allée des gueulades". Lì leggeva a perdifiato quello che aveva scritto e l'orecchio gli diceva se aveva colto nel segno o se doveva continuare a cercare vocaboli e frasi fino a raggiungere la perfezione artistica, che perseguì con ostinata tenacia fino a raggiungerla.

Con tanta ricerca della perfezione, Flaubert ci mise ben cinque anni a scrivere Madame Bovary. Noi nel lavoro questo tempo non lo abbiamo, anzi siamo sempre di corsa. Però la prova della lettura ad alta voce andrebbe fatta sempre, anche per una lettera, una brochure, una scheda, persino per un'email.
Io quando ne ho bisogno, cerco di isolarmi, ma se non ci riesco mi scuso con la mia collega e l'avverto che "comincio a declamare". Il guaio è quando devo rileggere la lunghissima Relazione sulla Gestione del Bilancio, ma per fortuna capita solo una volta all'anno. 

Ma per arrivare a produrre un testo che abbia un buon ritmo, è necessario trovarlo - almeno in parte - già mentre scriviamo.
Il mio personalissimo metodo:

  • scaletta davanti, sia in formato cartaceo, sia come guida nel file di testo
  • mettere in cuffia una bella musica, possibilmente ben ritmata ma senza parole 
  • attaccare da un punto qualunque e... correre, correre, senza pensare troppo
  • prendere e "sentire" il ritmo delle parole, ma anche dei tasti che battono
  • non fermarsi mai, anche se qualcosa non convince
  • mettere il punto, salvare, andare a prendere un caffé.

Il testo non sarà perfetto, ma il ritmo ci sarà senz'altro. 
Quando il ritmo arriva e comincia la corsa, ce ne accorgiamo. Sempre. Ce ne accorgiamo perché le parole cominciano a cercarci anche un po' loro, mentre noi cominciamo a provarci gusto. Allora, bisogna lasciarsi andare.

Virginia Woolf, il 16 marzo 1926, così scriveva a Vita Sackville West:
... quanto al "mot juste", hai proprio torto. Lo stile è una cosa molto semplice, è tutto ritmo. Una volta che ce l'hai, non puoi usare parole sbagliate. 
D'altronde eccomi seduta qui dopo una mezza mattinata, traboccante di idee, di visioni, e così via, che non riesco a sloggiare in mancanza del ritmo giusto. Ora, è una cosa molto intensa, questa del ritmo, e va molto più in profondità delle parole. 
Uno spettacolo, un'emozione, creano quest'onda nella mente, molto prima delle parole giuste per esprimerla; e nella scrittura (così credo adesso) bisogna ricatturarla e farla operare (il che non ha niente a che fare con le parole, ovviamente) e poi, mentre si infrange e precipita nella mente, crea le parole giuste. 

Un ultimo consiglio al business writer che tiene al ritmo dei suoi testi, anche di quelli più tecnici e istituzionali: meno manuali di scrittura e di marketing, più incursioni nei mondi musicali e concentrati della poesia.